sabato 29 marzo 2008

Stipendi ai politici e polizza di responsabilità

Prendo spunto dalle proposte che in questa ennesima campagna elettorale del 2008 vengono da più parti avanzate in merito alla necessità di ridurre i compensi dei politici.
Il problema è che, mentre l'usciere come il dirigente di una struttura ha un contratto di lavoro in cui sono definite le mansioni e qualcuno gli tira le orecchie se non le svolge, per un sindaco, come per un assessore, il mansionario non c'è come, d'altronde, non c'è nemmeno per il presidente del Consiglio dei ministri, a meno che non si voglia camuffare il programma elettorale con cui è stato eletto per una specie di bibbia del da farsi.
Se uno mi dice che è il più bravo della categoria (leggi: candidati a sindaco o altra carica) e farà "questo e quello" e io, per fiducia personale, per credibilità delle proposte, o semplicemente per ignoranza degli argomenti che propone, gli do il voto, dovrebbe pur esserci un sistema, al termine del mandato, o strada facendo (che sarebbe meglio), per verificare la coerenza tra il detto e il fatto, come avviene nei "sistemi qualità aziendali".
Ad oggi questo sistema di controllo dell'operato di un sindaco non c'è, per cui il candidato può fare qualunque promessa agli elettori, beninteso, purché sia un pò credibile, se no l'opposizione (e i giornali, si spera, se non sono "addomesticati") ci ride sopra.

Si potrebbe "pagare" un sindaco anche un milione di euro l'anno (per un comune di 100 mila abitanti) se una verifica coerente del suo mandato dicesse che ha realizzato quanto promesso ma, in caso contrario, dovrebbe essere il sindaco fallace a rimborsare alla comunità lo stipendio percepito. Anzi, direi che, proprio per il fatto che il candidato mi ha promesso una certa quantità di cose che a me sembravano necessarie per cui gli ho dato il voto, se al termine del mandato quelle cose non le ha fatte, o le ha fatte male, o ne ha fatte che non servivano, il sindaco dovrebbe non solo restituire gli stipendi percepiti ma dovrebbe pagare per i danni che ha arrecato alla comunità. Quindi non già un semplice zero a zero, palla al centro ma come un vero e proprio autogol.

Due sistemi politici ritenuti democratici
Spesso noi lodiamo due sistemi politici che la storia ci ha tramandato come più alte espressioni di potere del popolo, e cioè la democrazia greca e il comune medievale, e li portiamo a sostegno delle nostre tesi democratiche, ma ci dimentichiamo delle loro particolarità.
Nella democrazia greca, il potere decisionale era assembleare, e non era affatto esteso a tutti i cittadini, ma solo agli uomini liberi maschi (e non agli schiavi, che non erano considerati cittadini) e non tutti poiché tra questi venivano esclusi i nullatenenti (gli analfabeti non esistevano ancora in quella società in cui lo scrivere non era pratica corrente nemmeno tra i filosofi). E la ragione era semplice: chi non ha proprietà da amministrare non conosce le questioni che si dovranno trattare nell’assemblea per cui è necessario che se ne stiano a casa poiché potrebbero influenzare negativamente le decisioni dal momento che a loro non costa niente appoggiare una decisione oppure un’altra e quindi il loro voto potrebbe essere “comprato” facilmente da qualche membro dell’assemblea a sostegno dei propri interessi. Alla fine di questo processo di esclusione rimaneva nell’assemblea solo un 10% scarso dei membri della comunità (che non erano certo lavoratori) per decidere, tutto sommato, di poche e limitate questioni.
Nel comune medievale il potere decisionale avveniva in una assemblea simile a quella greca, ma venivano ammessi anche i titolari di bottega, e cioè gli artigiani, mentre ne erano ancora esclusi i commercianti, che all’epoca erano numericamente pochi, e genericamente mal visti dalla popolazione e dalle autorità. Per di più il podestà, equivalente al sindaco di oggi, veniva scelto tra persone di fiducia con una riconosciuta capacità amministrativa, al quale veniva chiesto di depositare una cauzione rilevante prima di assumere il mandato, al termine del quale, se le cose erano andate bene, gli veniva restituita raddoppiata, altrimenti la cauzione veniva trattenuta dalla comunità a titolo di rimborso dei danni, mentre se questi erano stati ingenti si arrivava perfino all’incarceramento o alla esecuzione capitale, e perfino al linciaggio da parte del popolo infuriato.
In sostanza, la democrazia greca era fondata sul fatto che i membri chiamati a decidere conoscessero i problemi da trattare, mentre nel comune medievale si introdusse un sistema di controllo dell’operato della più alta carica locale, permanendo in entrambi i sistemi una partecipazione limitata ad una piccola frazione della popolazione, cosa ancora in uso all’atto della fondazione della cosiddetta democrazia più grande del mondo, cioè gli Stadi Uniti d’America, dove un pugno di avvocati decise per qualche decina di milioni di abitanti.

Oggi
La democrazia greca fiorì nel IV secolo avanti Cristo e il comune medievale nel XIII secolo, mentre oggi, a distanza di 700 anni, la situazione è cambiata e, tuttavia, si pretende di richiamarsi ad essi.
Oggi, infatti, la partecipazione al voto è stata estesa a tutti i cittadini maggiorenni, e la fiducia dei cittadini viene data non su una reale competenza negli argomenti proposti dal programma elettorale del sindaco, poiché almeno i due terzi dei cittadini sono intenti nella loro vita ad occuparsi di altro, come il produrre un reddito, allevare i figli, e altre incombenze quotidiane, e a questi non si può imputare la mancanza di partecipazione. Se già Platone lamentava l’annacquamento del contenuto delle decisioni, definendo la democrazia “il potere dei peggiori”, oggi, con l’estensione del voto la cosa è peggiorata molto. Per il controllo sull’operato del sindaco, certo, non è il caso di applicare i metodi estremi della società comunale, ma qualcosa di simile dovrebbe studiarsi.

Ad esempio, perché il sindaco non è chiamato a rifondere i danni causati dal suo operato, in analogia a quanto viene chiesto ai professionisti che sono tenuti a stipulare una polizza di assicurazione che copra i danni arrecati al cliente in caso di cattiva prestazione professionale?
E’ anche vero che oggi non c’è solo l’opposizione politica (quando c’è, e quando non si inventano “inciuci” o “larghe intese”) a controllare l’operato degli eletti, ma ci sono pure i gionali, le associazioni di cittadini e i comitati spontanei, ma la fatica che fanno questi generalmente si rivela assai vana proprio in mancanza di un “codice etico” di comportamento condiviso e concordato in anticipo e, se possibile, tradotto in norme di legge, mediante il quale la partecipazione possa essere effettiva e non fittizia come oggi.
E qui si apre un discorso tutto incentrato sulla autoreferenzialità della politica rispetto alle forze sociali che sarebbe lungo sintetizzare in poche righe.

Rimane, tuttavia, la considerazione che la democrazia, intesa come sistema di potere, non è riuscita (come pure osservava il sociologo Max Weber un secolo fa), nonostante oltre due secoli di rodaggio fino ad oggi, e cioè dal tempo della rivoluzione francese, a mantenere le promesse essenziali cui tutti i candidati ad una qualsiasi carica di governo si rifanno, ovvero l’uguaglianza, le pari opportunità di miglioramento di vita, la riduzione della povertà e via di seguito.

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